Friday, October 31, 2008

More Really is different

Su arXiv.org, una open library promossa dalla Cornell University e dedicata a "Physics, Mathematics, Computer Science, Quantitative Biology and Statistics", è recentemente uscito un articolo di Mile Gu, Christian Weedbrook, Alvaro Perales and Michael A. Nielsen (tutti professori di università che vanno dal Canada all'Australia, passando per la Spagna), dal titolo "More Really is different". Al di là delle difficoltà interpretative che comporta il linguaggio scientifico usato nel paper, l'idea di fondo è che i sistemi fisici complessi non possono essere spiegati completamente attraverso una descrizione matematica che analizzi a livello "micro" le componenti del sistema.

Le "proprietà emergenti" sono caratteristiche del sistema, lì dove il risultato dell'interazione "non-semplice" (come direbbe Herbert Simon) è sempre qualcosa di qualitativamente diverso dalla somma (o di qualsiasi altra interazione matematica) delle sue parti. Come dire che attraverso i modelli matematici non è possibile spiegare perchè, a partire da un qualche "punto di rottura", la quantità si tramuta in qualità, gli elementi si trasformano in sistema organico. Torna alla mente il famoso dilemma dei granelli di sabbia che, aumentando di numero, si trasformano in montagna.

Ma per spiegare meglio il contenuto del paper, che si propone di ribadire le conclusioni di un altro famoso scritto, "More is Different" di P. W. Anderson (Anderson, P.W. More Is Different. Science 177, 393, 1972), lascio la parola agli autori:

In 1972, P. W. Anderson suggested that ‘More is Different’, meaning that complex physical systems may exhibit behavior that cannot be understood only in terms of the laws governing their microscopic constituents. We strengthen this claim by proving that many macroscopic observable properties of a simple class of physical systems (the infinite periodic Ising lattice) cannot in general be derived from a microscopic description. This provides evidence that emergent behavior occurs in such systems, and indicates that even if a ‘theory of everything’ governing all microscopic interactions were discovered, the understanding of macroscopic order is likely to require additional insights.

Scoprire che la matematica nel micro non spiegherebbe i comportamenti dei sistemi complessi nel macro, anche in presenza di una "teoria del tutto" per i fenomeni elementari, è stato un duro colpo: proprio adesso che studiando (una piccola parte di) Introduction to Modern Economic Growth di Daron Acemoglu iniziavo a pensare che tutto il mondo fosse formulabile in termini di programmazione dinamica e funzioni ricorsive!

Thursday, October 30, 2008

Nobel "occidentocentrico"?

Posto di seguito un breve articolo, apparso su Project Syndicate e firmato dal professor Kishore Mahbubani (originario di Singapore), recentemente salito alle luci della ribalta per essere diventato uno dei più autorevoli sostenitori del nuovo secolo asiatico e grande critico dell'"occidentocentrismo", quella prospettiva occidentaleggiante che ancora oggi pervade i discorsi e le prese di posizione della politica mondiale nonostante il grande shift di potere che si sta verificando a favore delle nuove grandi potenze e delle innovative tigri asiatiche.

Il topic di questo articolo è la critica al comitato norvegese che assegna i premi Nobel, messo sotto accusa dall'autore per aver assegnato il premio per la Pace a Martti Ahtisaari, rispettato politico e grande negoziatore (ultimamente per il Kosovo), citando nella motivazione ufficiale del premio l'opera di peacekeeping portata avanti in Aceh (Indonesia). Il problema non è tanto Ahtisaari, quanto il fatto che i negoziatori ed i politici indonesiani non siano stati minimamente menzionati, a dispetto del ruolo importante che hanno giocato nel processo di pacificazione.

Un'altra caduta di stile per l'Occidente, un'altra occasione persa per mostrare la dimensione pluralista e conciliante della cultura musulmana (da ricordare che l'Indonesia è il paese musulmano più grande del mondo), a dispetto della propaganda, sempre più pericolosamente attrattiva, dello scontro di Civiltà.



Nobel Injustice
Kishore Mahbubani

SINGAPORE – Martti Ahtisaari is a great man. He deserves the Nobel Peace Prize for his life work. But it was a mistake for the Norwegian Nobel Committee to cite his work in Aceh as a reason for giving him the prize.

As a recent story by Agence France Presse put it, Ahtisaari’s “most notable achievement was overseeing the 2005 reconciliation of the Indonesian government and the Free Aceh Movement rebels, bringing an end to a three-decade-old conflict that killed some 15,000 people.” But it was Indonesia’s people and leaders who should have received the Nobel Peace Prize for the Aceh political miracle.

More fundamentally, the mentioning of Aceh in this Nobel citation raises serious questions about the mental maps used by the Nobel Prize Committee in making these awards. The committee members increasingly seem to be prisoners of the past. They continue to assume that we live in an era of Western domination of world history.

But that era is over. Increasingly, the rest of the world has gone from being objects of world history to becoming its subjects. By giving the Nobel Peace Prize to the Indonesians instead of a European mediator for Aceh, the Nobel Prize Committee would have recognized that the world has changed.

Three other big benefits would also have resulted from giving the award to an Indonesian. First, the West associates the Islamic world with violence and instability. Few believe that Muslims are capable of solving their political problems by themselves.

But this is precisely what the Aceh story was all about. Two key Indonesian leaders, President Susilo Bambang Yudhoyono and Vice President Jusuf Kalla, showed remarkable political skill and courage in working out the peace deal for Aceh. A Nobel Peace Prize for them would have shown the West that Muslims can be good peacemakers and, equally important, it would have sent a message of hope to the Islamic populations of the world that have seen their self-esteem eroded by stories of failure.

Aceh was essentially a spectacular Muslim success story. Hence, the Nobel Peace Prize Committee has squandered a valuable opportunity to send out a message of hope to the world’s 1.2 billion Muslims, one that would have rid the world of the grand global illusion that peacemaking is a “white man’s burden.”

Wednesday, October 29, 2008

Arise Cliodynamics?

La Cliodynamics è una nuova (e interessante) disciplina in formazione, portata avanti prevalentemente dal prof. Peter Turchin della University of Connecticut, che tenta di verificare, attraverso modelli matematici e l'analisi di dati quantitativi, l'esistenza di regolarità della storia, con particolare attenzione all'ascesa e al declino dei grandi imperi. Con le parole di Turchin:

Cliodynamics (from Clio, the muse of history, and dynamics, the study of temporally varying processes) is the new transdisciplinary area of research at the intersection of historical macrosociology, economic history/cliometrics, mathematical modeling of long-term social processes, and the construction and analysis of historical databases. Mathematical approaches - modeling historical processes with differential equations or agent-based simulations; sophisticated statistical approaches to data analysis - are a key ingredient in the cliodynamic research program. But ultimately the aim is to discover general principles that explain the functioning and dynamics of actual historical societies.

Interessante tentativo quello di individuare le regolarità della storia, le "laws of history", in particolare se intese come utile strumento per l'elaborazione di global policies consapevoli per i nostri tempi complessi; tra l'altro questo filone si collega bene agli studi sulla complessità delle "dynamics of human behaviour", agli isomorfismi tra sistemi sociali e biologici-naturali e ai modelli sociologici di simulazione ad agenti, tutti quanti campi di studi che stanno acquisendo sempre più importanza e successo.

A mio avviso la filosofia di fondo della cliodynamics, la sua matrice storicista, ci obbliga ad alcune riflessioni critiche: quali sono i limiti della disciplina rispetto alle letture non-storiciste della storia, da Popper alla prospettiva epistemica di Foucault? In secondo luogo l'idea che la storia, in quanto esperimento non controllato, possa avere delle regolarità di natura "universale", valide in ogni tempo non mi pare totalmente convincente. Realisticamente la cliodinamica può prendere in considerazione, al massimo, il periodo che inizia con la "comparsa" dell'uomo per arrivare ai giorni nostri, un periodo molto breve rispetto a quello che risale a ritroso fino alla nascita del nostro pianeta, ma sopratutto non può inserire nel computo delle sue variabili i c.d. "cigni neri" (che oggi vanno molto di moda nella letteratura divulgativa), ovvero quelle situazioni di incertezza ontologica completamente imprevedibili e fuori addirittura dal campo della probabilità: la creazione di un governo mondiale democratico che ponga fine ai conflitti violenti ed inauguri un periodo di pacifica e sostenibile collaborazione fra tutti i popoli del mondo in che modo influenzerebbe le leggi della storia?

In ogni caso quelle appena fatte sono soltanto delle critiche di natura concettuale, che niente vogliono togliere allo scopo "scientifico" della cliodynamics, ovvero quello di rappresentare i path (i percorsi) evolutivi delle comunità umane, interpretando le nostre regole, i nostri rapporti sociali e di potere ed i nostri comportamenti come le componenti di un unico e grande sistema complesso.

Per concludere mi permetto di aggiungere che in realtà lo studio delle regolarità che guidano le dinamiche storiche di lungo periodo non è cosa del tutto nuova; la scuola macro-sociologica della longue durée di Braudel, Arrighi e Wallerstein utilizza come strumento d'analisi delle curve specifiche, le curve di Kondratie'v, per spiegare i ciclici cambiamenti che interessano il "sistema-mondo" capitalista (e quindi il periodo che parte, a seconda delle interpretazioni, dal XIV al XVI secolo). Il recentemente scomparso Andre Gunder Frank è riuscito ad andare addirittura oltre, estendendo questa metodologia ad un periodo molto più lungo, individuando tracce dei rapporti asimmetrici - costanti nel tempo - di dominazione e dipendenza fino all'egemonia orientale dei primi anni del II millennio e addirittura fino all'alba delle prime comunità umane organizzate.

Altiero Spinelli, di Piero S. Graglia

Non è facile giudicare un libro scritto da un caro conoscente, ma l'opera di Piero Graglia (Altiero Spinelli, ed. Il Mulino, 2008) rappresenta davvero un felice connubio di approfondita ricerca storica e qualità letteraria. In tutte le 700 (circa) pagine del libro traspare l'anima di Altiero Spinelli, la continua tensione tra realizzazione e fallimento (come nella più volte citata metafora de "il Vecchio ed il mare" di Hemingway) e la vicenda umana di un uomo nato per incarnare la battaglia per un'Europa più libera ed unita. Nella prima citazione del libro, riprendendo un proverbio arabo, si dice che "gli uomini assomigliano più ai loro tempi che ai loro padri"; il tempo in cui Spinelli ha vissuto, quello del fascismo, dei totalitarismi e dell'inizio della crisi del sistema internazionale degli stati chiamava a gran voce uomini nuovi ed idee rivoluzionarie, ed è in lui che questa necessità si è mostrata e realizzata nel modo più palese e genuino.

Altiero Spinelli, nonostante una personalità non povera di difetti e di "ruvidità", è stato un "legislatore del futuro", un visionario anticipatore del ruolo dell'Europa nel mondo e dell'irresponsabilità dei governi nazionali, degli scenari attuali e delle loro inedite opportunità. Politico lucido e inarrestabile, allo stesso tempo il più rivoluzionario degli utopisti e il più istituzionale dei realisti, Spinelli rappresenta la stella polare da seguire per tutti coloro che credono in un altro mondo possibile. Si badi bene, non l'altro mondo delle buone intenzioni chiesto a voce alta da molte organizzazioni e movimenti, ma quello fondato su nuove logiche e su nuovi poteri democratici, capaci di imbrigliare e cambiare tutte le forze, gli interessi, le asimmetrie e le disuguaglianze che governano la nostra realtà.

Bravo Piero, avevamo bisogno di riscoprire la poesia intessuta nelle trame della vita di uomo come Altiero, interamente dedicata alla militanza per un ideale più grande di un continente e più durevole di una vita intera. Continua così, sperando che altri giovani studiosi, seri e sognatori, seguano il tuo esempio!

Per completezza, e per tutti coloro che avessero voglia di leggersi un pezzo di storia del pensiero politico del '900 fondamentale ma spesso nascosto, di seguito ecco il link sia al Manifesto di Ventotene, scritto al confino da A. Spinelli ed E. Rossi (in collaborazione con Eugenio Colorni) che a Gli Stati Uniti d'Europa e le varie tendenze politiche , quest'ultimo forse ancora più illuminante per capire la forza della straordinaria proposta ideale dei federalisti europei.

Tuesday, October 28, 2008

Elogio degli Stati Uniti d'Europa

Quando anche gli esponenti del PDL iniziano a dire cose sensate significa che la crisi è veramente acuta, o forse che il tempo è ormai maturo per una riforma radicale dell'ordine economico e politico internazionale. Qualunque sia la motivazione di fondo, vale comunque la pena di leggere l'intervista rilasciato al Sole24ore da Mario Baldassarri, Presidente della Commissione Finanze del Senato, che si trova ad auspicare gli Stati Uniti d'Europa: "inoltre, ritengo che l'Europa dovrebbe essere presente fra i grandi come Europa unita. Bisognerebbe cioè cogliere l'occasione per un salto di qualità verso una sovranità politica piena. In sostanza, abbiamo la moneta unica ma è più che mai necessario costruire anche gli Stati Uniti d'Europa."

Non sono sicuro che alla base della crisi finanziaria ci siano solo i "global imbalances", che sposterebbero le colpe in primo luogo sull'ascesa della Cina e sul rapporto asimmetrico con gli USA indebitati. Indubbiamente "the rise of the Rest" (come direbbe Kishore Mahbubani, ironicamente in contrasto con "the rise of the West" dopo la rivoluzione industriale) è il processo che segnerà il futuro dell'economia e della politica mondiale, ma come la mettiamo con la colpevole inazione degli europei e, sopratutto, con le scelte politiche neoliberiste del governo americano? La deregulation del mercato finanziario e delle banche d'investimento è un'opera in corso dagli anni '90 e segue un preciso disegno politico che oggi si sta ritorcendo contro i propri ideologi.

Ma torniamo agli Stati Uniti d'Europa di Baldassarri; certo, non sarà la proposta federalista di Storeno (Ernesto Rossi), ma si parla di salto di qualità nel processo di integrazione e di sovranità politica piena. Sicuramente si tratta di un passo avanti e di un atto di coraggio, in un periodo dove le parole pesano miliardi di euro e dove la maggior parte delle proposte fatte dai leader nazionali sono confuse, generiche o volutamente inconcludenti. Di seguito l'intervista:


Mario Baldassarri (Pdl): «G-8 da allargare a Cina e India»
28 ottobre 2008

«La grave crisi finanziaria internazionale è in realtà solo la punta dell'iceberg. Dietro ci sono squilibri dell'economia mondiale, che sono molto più profondi e radicali e che oggi richiedono un riassetto complessivo di governance». Il presidente della Commissione finanze del Senato, Mario Baldassarri, motiva così la sua scelta di presentare, a nome del Pdl, una mozione che impegna il Governo ad agire in sede internazionale per promuovere una nuova Bretton Woods.

A quali squilibri si riferisce?
Da una parte abbiamo gli Stati Uniti, che consumano più di quel che producono e hanno un deficit estero pari al 7% del Pil da dieci anni. Dall'altra c'è la Cina, che invece consuma meno di quel che produce, ha un enorme risparmio e fino ad ora con queste enormi disponibilità comprava il debito americano. Poi, i cinesi si sono accorti che non bastava più comprare titoli di stato americani e hanno cominciato a comprare pezzi di economia reale. E adesso hanno in mano un fondo sovrano con il quale possono comprare in giro per il mondo banche e imprese. E, per effetto della crisi finanziaria, possono ottenerli a prezzi stracciati.

Quindi, dietro alla crisi finanziaria internazionale ci sono i global imbalances, come dicevano i vecchi documenti del Fmi...
Certo, ci sono gli squilibri globali dell'economia reale. La finanza e la sua crescita smisurata è solo la conseguenza. La Cina, ad esempio, è entrata nel Wto ma non è entrata nel sistema dei cambi e abbiamo avuto un renminbi cinese che si è agganciato al dollaro per decisione politica e si è preso il 50 per cento di svalutazione verso l'euro. L'Europa ha in tal modo regalato il 50 per cento di dazi negativi alla Cina, attraverso il super euro. Ma c'è un altro motivo che depone a favore di un rapido cambiamento dell'ordine economico definito a Bretton Woods.

Quale?
Il G8 di cui noi parliamo ora fra tre o 5 anni, in base ai pesi economici, dovrebbe essere ristrutturato. Fra cinque anni avremo infatti la Cina come primo paese per valore assoluto del Pil seguita da Stati Uniti Giappone Russia, India Brasile Corea . E, a seguire, uno dei quattro principali paesi europei. Non si può continuare a dire: decidiamo in seno al G8 e poi invitiamo Cina e India, cioè due paesi che pesano per un terzo dell'economia mondiale. Serve un governo mondiale adeguato e condiviso.

Dovrebbero cambiare anche le istituzioni, oltre che la governance internazionale?
Non serve moltiplicare i centri di decisione istituzionali. Il problema di fondo è che nel G8 non sono rappresentate tutte le economie più forti. Inoltre, ritengo che l'Europa dovrebbe essere presente fra i grandi come Europa unita. Bisognerebbe cioè cogliere l'occasione per un salto di qualità verso una sovranità politica piena. In sostanza, abbiamo la moneta unica ma è più che mai necessario costruire anche gli Stati Uniti d'Europa.

La sostenibilità come impegno morale

A seguito del dibattito che è nato intorno ad un articolo pubblicato su Eurobull, dal titolo "Tempo di crisi" (http://www.taurillon.org/Tempo-di-crisi) ho provato a spiegare le ragioni a sostegno della sostenibilità ambientale anche nel caso in cui i cambiamenti climatici non fossero causati dall'uomo ma dipendessero da complesse dinamiche cicliche di origine naturale (come del resto è accaduto svariate volte nella storia del pianeta).

"Mi pare che alle questioni sollevate ci sia un modo molto più diretto e semplice per rispondere. E’ senz’altro vero che il clima è un sistema dinamico che subisce e ha subito repentini capovolgimenti nella sua «storia», anche senza la presenza umana. Nonostante questa tesi veritiera è possibile obiettare che:

1) la comparsa dell’uomo è avvenuta in un periodo in cui il clima avrebbe dovuto raffreddarsi (global cooling), mentre ciò che è avvenuto, contrariamente ad ogni previsione, è stato una radicale inversione delle tendenze, con l’ inizio di un graduale riscaldamento climatico. Si parla a questo proposito di «antropocene anticipato» (early anthropocene hypotesis), nel senso che non sarebbe solo l’industria, ma tutta l’attività umana (dalle emissioni di metano prodotte dall’agricoltura stanziale in poi) a produrre instabilità climatica aggiuntiva rispetto agli equilibri naturali. Inoltre bisogna considerare che gli elementi inquinanti nell’aria, misurate in parti per metro cubo (ppm3), hanno raggiunto negli ultimi anni un livello mai visto nella storia del pianeta, nemmeno prima che i nostri antenati iniziassero a scendere dagli alberi per raccogliere e cacciare. Detto questo possiamo convenire che forse qualche elemento di novità (negativo) il genere umano l’abbia portato, anche solamente nel caso in cui abbia rafforzato o smorzato tendenze naturali già in corso.

2) Anche se la pressione distruttiva dell’uomo sull’ambiente non fosse la causa-prima del cambiamento climatico, resta il fatto che il disastro imminente è certo in ogni caso. Innalzamento dei mari, scioglimento dei ghiacci, conflitti per le risorse, polarizzazione delle ricchezze, circolazione delle malattie, desertificazione ecc. avverranno comunque. Ed il bello è che, per la prima volta nella storia, questi disastri non coinvolgeranno un popolo, una comunità, un paese, ma tutto il mondo, nessuno escluso (anche se con effetti diversi, e su questo si potrebbe discutere). Un comportamento più sostenibile e adattativo, uno sguardo più lungimirante non sarebbero ugualmente utili per favorire la pacifica sopravvivenza dell’umanità?

3) La sostenibilità non è solo ambientale. Oltre ai limiti dello sviluppo (quelli di Meadows-Club di Roma), ci sono i limiti sociali allo sviluppo, la tensione tra la crescita economica infinita ed un mondo fatto di risorse finite, l’insostenibilità anche etica del consumismo, la tensione insopportabile generata dalle disuguaglianze globali, gli effetti collaterali del dominio dei paesi industrializzati sui PVS (Paesi in Via di Sviluppo).

Esistono perciò diversi buoni motivi per essere favorevoli ad un mondo più equo e sostenibile, anche se non siamo certi della causalità umana nel processo di global warming. Anche se non crediamo nelle analisi e nella prospettiva ecologista, l’impegno per un mondo migliore e diverso è prima di tutto un imperativo morale."

Un commento ad Hitler, di Giuseppe Genna

Finito di leggere il bellissimo libro di Genna, Hitler, ho buttato giù un brevissimo commento su anobii (www.anobii.com) che riporto qui di seguito:

"Cupo, disperato, bellissimo. Ho apprezzato davvero tanto lo stile narrativo di Genna ed il suo tentativo di trasformare in un fiume di parole la banalità del male, la forza perversa dell'ideologia. E non c'è pazzia... si dice che "niente di umano mi è estraneo" proprio perchè anche in fondo all'incubo nazista non c'è stato nient'altro che l'uomo. Oggi il mondo è basato sulla violenza e sul terrore, è la vittoria postuma di Hitler, ma come si ribadisce nel libro il male non è mai qualcosa di profondo, altrimenti non potrebbe espandersi così veloce, a macchia d'olio.. è piuttosto una semplificazione, una superficialità. E' il bene che è profondo, è la fatica di sondare la natura più intima dell'essere umano. Complimenti all'autore."

Sulla crisi finanziaria - links

Di seguito i links a tre articoli che ho scritto recentemente per Eurobull.it (www.eurobull.it) e Peacelink (www.peacelink.it) proprio sul tema della crisi finanziaria (uno in realtà è un comunicato stampa della Gioventù Federalista Europea):

1) Federazione Europea o Catastrofe Economica: http://www.taurillon.org/Federazione-Europea-o-Catastrofe-Economica (versione francese: http://www.taurillon.org/Federation-europeenne-ou-catastrophe-economique)

2) La Fiera delle non-vanità - le mancanze politiche dietro la crisi finanziaria: http://www.taurillon.org/La-fiera-delle-non-vanita

3) Tre risposte al panico: http://www.taurillon.org/Tre-risposte-al-panico

Sulla crisi finanziaria - prologo

Trovo l'attuale crisi finanziaria di grande ispirazione; stiamo vivendo un fase di transizione storica ma i segnali della crisi sono ancora striscianti, per questo motivo è necessario raccontare, narrare, spiegare questa crisi. In effetti più della crisi stessa, per adesso stiamo vivendo "il racconto dela crisi", uno spettacolo a distanza fatto di sfiducia, disperazione e cambiamento che sembra quasi una iper-realtà simulata (à la Baudrillard) piuttosto che qualcosa di reale. Gli effetti sulle nostre vite non tarderanno però a farsi sentire se è vero, come sostiene Immanuel Wallerstein (e con lui tutti i discendenti della scuola braudeliana), che il momento attuale non prefigura una semplice recessione, ma addirittura la fase finale due cicli capitalistici, uno di medio periodo (quello iniziato dopo l'altra grande crisi, quella petrolifera del '73) e uno di lungo periodo, identificabile con il periodo egemonico americano. Giovanni Arrighi ne "il lungo XX secolo" (Il saggiatore, 1994) ha spiegato molto bene tutto quello che sta accadendo oggi, ma sull'attualità delle sue teorizzazioni mi dilunghero in un prossimo post.

Per coloro che pensano che questa crisi si dissolverà lentamente proprio perchè non è scoppiata di botto come successo nel '29 lascio la parola ad un capoverso di un articolo di Riccardo Bellofiore apparso recentemente su "Il Manifesto":

"Anche chi aveva bandito la parola - estremo esorcismo - ora si ritrova a pronunciarla: recessione. Come allora, nel '29. Solo col passare del tempo venne consegnata ai posteri con un nome differente: Grande Depressione. Contrariamente a quel che si crede, il 1929 non fu un «botto» solitario, ma una lunga serie di cadute, segnate da improvvise «riprese» di borsa. Una discesa prolungata, costante, che solo dopo un paio d'anni cominciò a riversarsi sull'economia reale, sulla produzione e, quindi, alla fine, anche sull'occupazione. Una crisi che arriva dentro le famiglie, che viene drammaticamente vissuta e ripetuta in questi giorni anche in Italia, con tante fabbriche che annunciano improvvisi tagli e chiusure, cassa integrazione e licenziamenti. Senza dimenticare i lavoratori precari, privi persino di ammortizzatori sociali."

Monday, October 27, 2008

Introducendo "The Cocktail Economy"

Quando William Shakespeare affermava, attraverso le parole di Amleto, che "...ci sono più cose in cielo ed in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia...", aveva certamente ragione. La molteplicità di valori, incentivi, identità e percezioni che guidano l'agire degli uomini vanno al di là di qualsiasi tentativo di modellizzare, categorizzare o ridurre a semplice teoria. Ma allo stesso tempo capire questa molteplicità rappresenta la sfida più grande e affascinante per tutti coloro che cercano continuamente di "guardare il mondo con occhi nuovi" (il vero viaggio di scoperta, per Marcel Proust); ne nasce quella positiva tensione fra "il pessimismo della ragione" e "l'ottimismo della passione" che non potrà mai ridursi a favore di un contendente o dell'altro.

Nello spazio di questo blog cercherò da un lato di spiegare, con il pessimismo della ragione, il perchè di tanti fatti, idee e tendenze che rendono questo mondo un posto così interessante in cui vivere, mentre dall'altro proverò ad offrire la mia visione delle cose, una prospettiva che coniughi il pensiero e l'azione seguendo l'ottimismo della passione.

Perchè scegliere lo strano titolo "The Cocktail-Economy"? Prima di tutto perchè assomiglia al più famoso "The Long-tail economy", nella speranza di emulare un successo planetario. Ma il vero motivo è metaforico: provare ad analizzare i nostri giorni senza tenere ben presente il sistemico rapporto tra l'economia, il potere, l'identità, la cultura, la storia e la volontà politica significa sostanzialmente studiare qualcosa che non esiste affatto (ma questo gli economisti ancora non lo hanno capito del tutto...). Ognuna di queste dimensioni vive in relazione con le altre, in un complicato mix che, con un po' di ironia, potremmo definire cocktail.

Abba P. Lerner sosteneva che ogni transazione economica è in realtà un problema politico già risolto, e aveva ragione: sono le asimmetrie di potere, le appartenenze di gruppo, il contesto ambientale, le dinamiche delle istituzioni, del linguaggio e della cultura a creare le condizioni affinchè l'economia ci appaia in tutta la sua globalizzata evidenza. A mio avviso, il miglior modo per capire questa complessità emergente non è quello di separare uno ad uno tutti gli ingredienti, quanto piuttosto sedersi comodamente e gustare con attenzione, fantasia e creatività il cocktail che nasce dalla loro unione.