Su Eurobull.it ho provocatoriamente sostenuto che il 4 novembre, festa delle forze armate e dell'unità nazionale in ricordo della "vittoria" italiana nella I Guerra Mondiale, dovrebbe essere dichiarata "festa dell'unità europea" e che le uniche forze armate veramente degne di ringraziamento sarebbero quelle di un auspicabile esercito europeo, capace di trasformare l'Unione in una vera potenza civile (senza contare i risparmi economici sui bilanci nazionali, molto importanti in questi tempi di tagli generalizzati).
E' interessante e allo stesso tempo preoccupante seguire giorno per giorno la cronaca di questo revival nazionalista che sta investendo tutto il vecchio continente.. sopratutto per provare a capire in che modo un sentimento di appartenenza identitaria tipico del '900 possa evolversi nel contesto della de-nazionalizzazione che stiamo vivendo; ancora più affascinante è poi osservare la mistificazione all'opera, la ricostruzione attenta del passato e la reinvenzione dei miti mai esistiti.
D'altronde lo Stato, così come il perseguimento del "destino nazionale", sono semplici costrutti istituzionali e sociali, meccanismi assolutamente non universali ma ben collocati storicamente nel lungo percorso degli eventi umani; casomai l'unico destino sovraindividuale possibile a questo mondo potrebbe essere quello appartenente all'intera umanità, posta difronte alla scelta se autodistruggersi in un olocausto ecologico e nucleare o salvarsi per mezzo di un cambiamento radicale, una rivoluzione pacifica che attraverso delle istituzioni democratiche globali assicuri l'impossibilità dei conflitti armati e faccia prevalere la forza del diritto sul diritto della forza.
La divisione in stati nazionali della comunità umana è cosa obsoleta e pericolosa ma, come citava qualche tempo fa l'Irish Times "we humans are quite good at building new institutions in response to changing circumstances. Unfortunately, we can be a bit slow about dismantling older ones, and often focus more on the institution than on the job it is supposed to do." Sta al nostro coraggio e alla nostra fantasia andare oltre le categorie ed i muri concettuali esistenti, ricordandoci ogni volta quello che dicevano i primi astronauti che guardavano ammirati il nostro pianeta: "dall'alto la Terra non ha confini, nè frontiere".
E' interessante e allo stesso tempo preoccupante seguire giorno per giorno la cronaca di questo revival nazionalista che sta investendo tutto il vecchio continente.. sopratutto per provare a capire in che modo un sentimento di appartenenza identitaria tipico del '900 possa evolversi nel contesto della de-nazionalizzazione che stiamo vivendo; ancora più affascinante è poi osservare la mistificazione all'opera, la ricostruzione attenta del passato e la reinvenzione dei miti mai esistiti.
D'altronde lo Stato, così come il perseguimento del "destino nazionale", sono semplici costrutti istituzionali e sociali, meccanismi assolutamente non universali ma ben collocati storicamente nel lungo percorso degli eventi umani; casomai l'unico destino sovraindividuale possibile a questo mondo potrebbe essere quello appartenente all'intera umanità, posta difronte alla scelta se autodistruggersi in un olocausto ecologico e nucleare o salvarsi per mezzo di un cambiamento radicale, una rivoluzione pacifica che attraverso delle istituzioni democratiche globali assicuri l'impossibilità dei conflitti armati e faccia prevalere la forza del diritto sul diritto della forza.
La divisione in stati nazionali della comunità umana è cosa obsoleta e pericolosa ma, come citava qualche tempo fa l'Irish Times "we humans are quite good at building new institutions in response to changing circumstances. Unfortunately, we can be a bit slow about dismantling older ones, and often focus more on the institution than on the job it is supposed to do." Sta al nostro coraggio e alla nostra fantasia andare oltre le categorie ed i muri concettuali esistenti, ricordandoci ogni volta quello che dicevano i primi astronauti che guardavano ammirati il nostro pianeta: "dall'alto la Terra non ha confini, nè frontiere".
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