Wednesday, November 5, 2008

A More Perfect Union

L'elezione alla presidenza degli Stati Uniti di Obama è prima di tutto un evento profondamente simbolico: per il dialogo fra culture, per il "peccato originale" del razzismo americano, per la carica emotiva che ha accompagnato questa campagna elettorale, per mille altri motivi.

Mentre l'ondata neoliberista si spegne lentamente, colpita dai suoi stessi errori e dagli effetti delle crisi ambientale e finanziaria, Barack Obama introduce un nuovo linguaggio, un nuovo approccio, una nuova speranza nel sogno americano; le parole chiave del suo successo sono state hope e change, speranza e cambiamento, capacità di restituire anche all'uomo della strada la fiducia in una visione positiva del futuro, lontana sia dal manicheismo imperialista che dal nichilismo da "crisi della civiltà". Probabilmente il discorso più rappresentativo dell'anima "istituzionale" americana e maggiormente carico di contenuti politici fatto dal neo-presidente è quello tenuto il 18 marzo scorso al Philadelphia, dal titolo A More Perfect Union: in quella città, respirando l'atmosfera della Convenzione Costituente del 1787, Barack Obama ha ridato credibilità a quell'opera incompleta, a quell'"improbable experiment in democracy" che sono gli Stati Uniti d'America.

Purtroppo esiste anche una faccia negativa della medaglia, rappresentata questa volta da ciò che non è stato detto, dagli eventi lasciati in disparte; l'euforia per le elezioni non deve far dimenticare che l'amministrazione Bush ha ancora quasi due mesi di governo, durante i quali cercherà di sfruttare "al meglio" il tempo rimasto. Citando l'editoriale del New York Times del 4 novembre scorso:

While Americans eagerly vote for the next president, here's a
sobering reminder: As of Tuesday, George W. Bush still has 77 days
left in the White House — and he's not wasting a minute.

President Bush's aides have been scrambling to change rules and
regulations on the environment, civil liberties and abortion rights,
among others — few for the good. Most presidents put on a last-minute
policy stamp, but in Mr. Bush's case it is more like a wrecking ball.
We fear it could take months, or years, for the next president to
identify and then undo all of the damage.

[...]

We suppose there is some good news in all of this. While Mr. Bush
leaves office on Jan. 20, 2009, he has only until Nov. 20 to
issue "economically significant" rule changes and until Dec. 20 to
issue other changes. Anything after that is merely a draft and can be
easily withdrawn by the next president.

Unfortunately, the White House is well aware of those deadlines.


Tornando alle elezioni c'è un'altra questione significativa da sollevare, un punto che va al di là dell'Oceano Atlantico per toccare alla radice la crisi del processo di integrazione europea: gli europei, e in particolare la classe politica, hanno molto da imparare da quello che sta accadendo in questi giorni negli USA, qualunque sarà l'effettivo proseguimento di questa nuova avventura umana. Non si possono vincere le sfide politiche nel tempo della globalizzazione senza offrire ai cittadini dei sogni nei quali credere e dei simboli intorno ai quali la comunità può ricostruire la propria identità condivisa; servono nuovi orizzonti e un nuovo coraggio politico, servono proposte forti e democratiche. Solo seguendo l'esempio della reazione americana l'Europa potrà fondarsi come Federazione, unita nelle sue diversità. E, magari, anche la futura Costituzione Federale Europea potrà iniziare con le parole: "We the people, in order to form a more perfect union...".

1 comment:

  1. Oh, finalmente posso commentare!
    Innanzitutto grazie per il precedente post, sei sempre troppo gentile.
    In secondo luogo, mi permetto un commento sciocco: questo post mi ha quasi commosso. Ecco.

    ReplyDelete