Come si concilia la necessità di un governo mondiale, capace di dare un indirizzo politico alla globalizzazione (necessità sempre più palese dopo la crisi finanziaria e prima della crisi ecologica che arriverà), con l'obbligo morale di salvaguardare la pluralità delle culture, l'universo dei fini assiologici e delle filosofie della storia che ogni comunità elabora in base alla propria evoluzione, ai propri costrutti linguistici, alle influenze dell'ambiente e della geografia?
Dato che ogni cultura, per quanto piccola, debole o periferica, non subisce mai passivamente i tentativi egemonici e universalistici promossi dal "centro" ma adotta sempre e comunque un atteggiamento di reazione e ricombinazione sincretica e creativa delle istanze di novità (anche se imposte), probabilmente il modo migliore per far nascere un governo mondiale quanto più condiviso e condivisibile è quello di concentrarsi soltanto sui meccanismi istituzionali, sul progetto architettonico ancora da riempire di contenuti valoriali. Quali istituzioni possono creare un framework generale di co-abitazione, "indossabile" senza costrizioni da realtà differenti?
A mio avviso il Federalismo mondiale (World Federalism), inteso come modello di governo multi-livello basato sulla sussidarietà, è forse l'unica forma organizzativa capace di far coesistere l'uno ed il tutto, il generale ed il particolare, imbrigliando la complessità in una rete istituzionale che non annulli le affascinanti e molteplici forme attraverso le quali ogni comunità umana ha provato a rappresentare sè stessa e l'"altro".
La Federazione mondiale non vedrebbe la luce sulla base di un qualche valore generale o di un fine condiviso della storia, quanto piuttosto per motivi molto meno nobili: sarebbe uno strumento funzionale alla risoluzione di problemi globali, che devono essere affrontati dal "global village" all'unisono, pena l'estinzione dell'intero genere umano. Per evitare un olocausto nucleare e/o ecologico (che questa volta non risparmierebbero nessuno, complici l'integrazione economica e la pervasività della tecnologica a scala planetaria) servono alcuni, limitati, beni pubblici globali (global public goods): la Pace (impossibilità di conflitto), regole per il mercato, strumenti per lo sviluppo sostenibile e l'equità, un sistema monetario che non incarni la volontà di una singola iperpotenza, accesso libero ai beni comuni (acqua, aria, energia).
Il cantiere della riflessione sulle modalità politiche capaci di connettere il globale al locale in modo democratico, plurale e non-totalizzante è ancora aperto; quali sarebbero i micro-fondamenti della proposta di una federazione mondiale (ovvero, sulla base di quale legittimità si reggerebbe, a parte la consapevolezza di problemi comuni per tutta l'umanità)? Come sfruttare al meglio la teoria delle reti, l'analisi dei sistemi, la filosofia politica e morale, il "mechanism design", l'economia, l'antropologia ecc. per raffinare la proposta istituzionale? Detto questo, il pensiero e l'azione restano due campi - strettamente connessi - che seguono logiche diverse: se la teoria va avanti a formulare proposte e possibilità sempre migliori e più complesse, la nostra azione quotidiana non può invece attendere l'esito del perfezionamento teorico: battersi per la federazione mondiale, per la Pace Perpetua, per le istituzioni di un mondo più giusto, è l'unico modo per ridurre quella contraddizione fra fatti e valori che fa di noi dei militanti.