Wednesday, November 12, 2008

Il ritorno dell'intelligenza

Segnalo un pezzo di questo interessante articolo di Nicholas D. Kristof, apparso ieri su Repubblica (tradotto dal New York Times) e dedicato (come la gran parte degli articoli degli ultimi giorni) ad Obama. La prospettiva questa volta è però più "intelligente", e sottolinea come l'elezione del primo presidente afroamericano rappresenti anche la fine di una politica apertamente populista e anti-intellettuale.


"[...] non possiamo risolvere le sfide dell'istruzione se, secondo le statistiche, gli americani credono all'evoluzione tanto quanto ai dischi volanti, e quando un quinto di essi crede fermamente che sia il Sole a girare intorno alla Terra. Quasi la metà dei giovani intervistati per un sondaggio nel 2006 ha dichiarato che non è necessarío conoscere l'ubicazione dei Paesi nei quali si verificano avvenimenti importanti: ciò sarà sicuramente di sollievo a Sarah Palin, che secondo Fox News pensava che l'Africa fosse un Paese e non un continente.

Probabilmente John Kennedy è stato l'ultimo presidente a non vergognarsi della propria intelligenza e del fatto di aver nominato a far parte dei proprio governo le menti migliori dell'epoca. In tempi a noi più recenti, abbiamo avuto alcuni presidenti brillanti e colti che hanno fatto di tutto per tenere nascoste le loro qualità. Richard Nixon è stato un intellettuale che nutriva odio verso sé stesso, mentre Bill Clinton ha tenuto nascosto il suo fulgido ingegno dietro agli aforismi popolari sui maiali. Quanto a Bush, ha adottato l`anti-intellettualismo come vera e propria politica dell'Amministrazione, respingendo ripetutamente il contributo di persone competenti (dagli esperti di Medio Oriente ai climatologi più accreditati, agli studiosi della riproduzione). Bush è brillante nel senso che si ricorda fatti e facce: nondimeno non credo di aver mai intervistato nessuno che apparisse altrettanto disinteressato nei confronti di qualsiasi concetto.

Nella politica americana è almeno dai tempi della campagna per la presidenza di Adlai Stevenson negli anni Cinquanta che è uno svantaggio apparire troppo colti. Essere riflessivi equivale a essere considerati imbranati. Prendere decisioni con attenzione significa essere dei pappamolle. (Certo, non giova sapere che gli intellettuali sono spesso tanto pieni di sé quanto di idee. Si racconta che dopo un discorso molto profondo, un ammiratore tra la folla gridò a Stevenson: «Lei avrà il voto di ogní americano in grado di pensare!» e che Stevenson di rimando gli abbia detto: «Non mi basta: mi serve una maggioranza»). .

Ma i tempi forse stanno cambiando. Come potremmo spiegare altrimenti l'elezione nel 2008 di un professore di legge che ha studiato in un'università dell'Ivy League e che ha la sua lista di filosofi e poeti preferiti? [...]

James Garfield era in grado di scrivere simultaneamente con una mano in greco e con l'altra in latino; Thomas Jefferson fu uno studioso e inventore straordinario; John Adams era solito portarsi sempre appresso un libro di poesia. Ciò nonostante, furono tutti surclassati da George Washington, uno dei meno intellettuali tra i nostri primi presidenti.

Malgrado ciò, mentre Obama si accinge a trasferirsi a Washington, auspico con tutto il cuore che la sua fertile mente possa introdurre un nuovo modo di essere nel nostro Paese. Forse verrà presto il giorno in cui i nostri leader non dovranno più sentirsi in imbarazzo e in preda alla vergogna quando si scoprirà che hanno un cervello in testa."

1 comment:

  1. C'è mooolto bisogno di un presidente illuminato, o quantomeno intelligente. Quindi speriamo sia la volta buona: forse le premesse ci sono!

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